In qualità di pronipote di italiani nativi e con un legame forte, reale ed emotivo con l’Italia, vorrei condividere con i lettori alcune riflessioni sulle nuove norme sulla cittadinanza.
Innanzitutto vorrei dire che condivido pienamente le motivazioni che hanno spinto il Governo a limitare l’accesso alla riconoscenza della cittadinanza ius sanguinis: il sovraccarico amministrativo nei consolati e nei comuni dovuto all’enorme mole di scartoffie, nonché il fatto che molti richiedenti non hanno alcun legame affettivo o pratico con l’Italia.
È anche ovvio per me che ogni paese del mondo ha il diritto di regolamentare a chi viene concessa la sua cittadinanza e, allo stesso modo, chi ha il diritto di vivere e lavorare nel suo territorio e di godere dei benefici di essere cittadino.
Sono anche d’accordo sul fatto che la cittadinanza debba essere presa sul serio e non considerata un mero processo burocratico.
Credo che una delle ragioni dello Ius sanguinis italiano fosse quella di concedere la cittadinanza a persone che, per il destino scelto dalla stragrande maggioranza degli emigranti italiani, risiedono in Paesi che hanno una forte affinità culturale e valoriale con l’Italia. Forse senza immaginare che si sarebbe trasformata in un’enorme palla di neve.
Chiarimento: la mia opinione non è di interesse personale. Ho la riconoscenza della cittadinanza da più di 20 anni fa.
Ora, mi chiedo si la soluzione più pratica fosse quella di limitare il riconoscimento della cittadinanza ai figli e ai nipoti.
Io sono pronipote di italiani.
Conosco molte persone qui che hanno ottenuto la cittadinanza senza avere il minimo legame emotivo con il Paese e per le quali il passaporto italiano è solo un pezzo di carta. Ma non si tratta solo di pronipoti o trisnipoti.
A mio parere il riconoscimento della cittadinanza potrebbe essere subordinato, per esempio, a richiedere un elevato livello di competenza linguistica. Non credo che molte persone sarebbero disposte a studiare italiano per molti anni per avere semplicemente un passaporto che li esenta da determinati visti.
Studiare la lingua comporta inevitabilmente la conoscenza della cultura e della realtà italiana, mentre la padronanza della lingua è un elemento fondamentale per l’integrazione nella comunità italiana.
Durante i miei oltre dieci anni di studi alla Società Dante Alighieri, la maggior parte dei miei compagni di corso erano di origine italiana e desideravano riconnettersi con le proprie radici attraverso la lingua. Pochissimi lo studiarono con l’intenzione di emigrare. Infatti, vivono ancora qui.
Forse si potrebbe anche riconoscere la cittadinanza per ius sanguinis ai discendenti di cittadini italiani nativi (indipendentemente dal tipo di legame) che abbiano avuto qualche anni di residenza (legale, ovviamente) in Italia.
Immagino anche che l’Italia deve tenere anche conto degli interessi degli altri paesi dell’UE, purché l’accesso alla cittadinanza permette risiedere e lavorare in qualsiasi paese dell’Unione.
Infine, si sostiene che i diritti di cittadinanza debbano essere bilanciati con l’adempimento dei doveri. Sebbene concordo pienamente sul fatto che l’esercizio della cittadinanza (come ogni altra attività della vita) implichi l’esercizio dei diritti e l’adempimento degli obblighi (aspetto che critico in molti nella società argentina, dove i diritti sono sopravvalutati e i molti doveri corrispondenti vengono ignorati), non riesco a notare quali sarebbero i doveri che noi residenti all’estero possiamo assolvere in quanto cittadini.
Votare? (quando il voto non è obbligatorio per i residenti). Ho votato alle elezioni parlamentari in Italia, ma non l’ho fatto quando si decidevano questioni che richiedevano una conoscenza diretta della realtà interna, perché evidentemente non avevo le informazioni necessarie per prendere una decisione.
E non mi sembra giusto che io prenda parte a decisioni le cui conseguenze non mi riguardano. Lo trovo, come minimo, controverso.
Pagare delle tasse? Quale sarebbero applicabili a coloro che non possiedono immobili in Italia?
In realtà, sono anch’io discendente di francesi e spagnoli (bisnonni) e, per me, la Francia e la Spagna non significano nulla. Per me sono un paese straniero come qualsiasi altro al mondo. E anche se ho trovato parenti in Francia, con cui sono in contatto.
Se avessi un passaporto spagnolo o francese, che non l’ho, e non lo voglio, per me sarebbe soltanto un documento.
Aggiungo che vivo in un Paese in cui la cittadinanza si acquisisce esclusivamente per ius soli. I figli di cittadini argentini nati all’estero non possiedono la cittadinanza argentina. E i figli di stranieri nati in Argentina sono argentini, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Quindi sono abituato, e per me è una cosa comune, a un sistema che non riconosce la cittadinanza in base al sangue.
Questa nuova situazione, quindi, suscita in me enormi dubbi e sarei estremamente interessato a sentire le vostre opinioni e motivazioni come cittadini italiani autoctoni, per arricchire le mie conoscenze sull’argomento e formarmi una mia opinione.
Ripeto: non metto in discussione la necessità delle limitazioni imposte e le ragioni che hanno portato a tale decisione. Ma mi sembra una questione complessa che ha molte sfaccettature da analizzare.



Sono il pronipote di cinque bisnonni italiani. Avere la cittadinanza italiana è per me motivo di orgoglio. Mi sento italiano. Quando parlo dell’Italia, dico “noi”. Coltivo un legame profondo da decenni anche se non ho intenzione di vivere in Italia ma di restare nel Paese (con tutti i suoi enormi difetti e mancanze) dove si trovano la mia famiglia, i miei amici e molti dei miei cari. Ed anche Estudiantes de La Plata, la mia squadra di calcio, hahaha.
Desidero il meglio per l’Italia al di sopra di qualsiasi interesse personale che possano avere coloro che richiedono la cittadinanza ius sanguinis.
Per tutti questi motivi ho voluto condividere la mia opinione, in quanto persona che vede la sua amata Italia dall’altra parte dell’Atlantico.
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