Si esce poco la sera, compreso quando è festa. (“ L’anno che verrà” Lucio Dalla ) E’ proprio così anche nelle feste, le piazze dei nostri paesi rimangono vuote. Cosa è successo ai nostri paesi aggrappati a sinuose colline che nemmeno tengono più e si aprono come gonfi cocomeri dirupando su antichi percorsi abbandonati e solitari? Ognuno se lo chiede dando mille risposte e generando mille cause, ma ogni analisi è solo un ripetere parole tante volte pronunciate col gelido vuoto che le ha contraddistinte. Adesso siamo rimasti soli. Proprio nei nostri luoghi dove si potrebbe generare un bel vivere, non c’è più vita. Non ci sono più nascite, né matrimoni, asili chiusi, scuole chiuse, piazze vuote e deserte, i lunghi muraglioni di pietra, luoghi privilegiati per l’osservazione sociale non odono più voci. I nostri paesi ormai sono musei vuoti. Quale futuro per il nostro Molise, per suoi 136 comuni? Cosa si può fare per rianimare le nostre pietre segnate da eventi storici, drammatici, come l’emigrazione? Chi è chiamato ad intervenire? Direi tutti, proprio tutti. Dobbiamo ridar vita alla speranza e, far nascere una identità di appartenenza molto forte che possa spazzare definitivamente quel virus depressivo che ci ha violentemente annullati, in tutto, arrivando a convincerci addirittura che non esistiamo.” Il Molise non esiste”. Siamo un po’ i personaggi del romanzo “Il Deserto Dei Tartari” di Dino Buzzati che nella fortezza” Bastiani” invano attendono delle opportunità, ma mentre aspettano, il tempo passa assistendo al declino della sua dimora abbandonata a sè stessa. Per molti anni questa attesa così inverosimile ha inciso sul nostro slancio creativo; potevamo fare molto e, non l’abbiamo fatto. “Qui non si può fare niente” Che significa non si può fare niente? L’uomo può fare tutto. Invece ci siamo limitati a ripristinare solo qualche marciapiede, o mettere in sicurezza alcuni palazzi fatiscenti, ad assicurarci qualche ufficio aperto a giorni alterni. Sanità e viabilità regionali alla deriva. Sono mancate idee e progetti, ma principalmente siamo mancati noi che non abbiamo saputo vivere insieme che era ed è la cosa più importante. Siamo direi anche “ i Vinti” di Giovanni Verga coloro che non hanno saputo prendere in mano le redini del proprio futuro, della propria vita. Certo se si scappa dai luoghi di guerra, dal deserto, o da paesi dove impera la dittatura, ci sta, ma se si scappa da floridi giardini si fa fatica a comprendere. L’emigrazione ha privilegiato il rapporto uomo e risorse ma ha distrutto completamente l’equilibrio tra uomo e ambiente. Le statistiche demografiche oggi, ci fanno paura e ancor di più le proiezioni demografiche. La situazione attuale è così. Che fare? Scuotere subito le nostre intelligenze, la nostra creatività, la speranza. Valorizzare il nostro territorio, che non è marginale, ma centrale e lavorare sulla nostra scarsa propensione alla collaborazione. Rivitalizzare urgentemente i rapporti sociali indispensabili per un vivere civile sano e armonioso. L’umano è solo nelle relazioni. Eliminiamo i rancori politici quelli del dopo elezioni soprattutto dove i paesi sono diventate famiglie essi devastano il senso civile del vivere insieme, e tolgono ossigeno vitale alle comunità già dilaniate e impoverite da fattori economici e culturali che ci hanno relegati ai margini della storia. Facciamolo per rispettare le nostre comunità, la nostra umanità e la libertà altrui. L’Italia tutta deve riconsiderare i piccoli comuni e, stabilizzare la densità demografica soprattutto nei suoi estremi. Questi brevi pensieri meriterebbero veri approfondimenti, grosse riflessioni, futuri progetti. Queste righe invece sono solo una breve riflessione pomeridiana che ho voluto condividere con voi.

Scritto da
Antonio Molino
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