Pasqua si avvicina ed ogni festa è uno stomaco che si chiude. Un battito accelerato un respiro profondo.
Quando arrivavo in paese faceva sempre caldissimo, tranne un’estate. Era sempre ora di pranzo, partivamo la mattina ed io, la notte prima non dormivo mai.
Quell’estate è stata la più calda in assoluto ma siamo partiti con un diluvio pazzesco. Poi ha iniziato a grandinare fortissimo.
Ero piccola, con un vestitino di jeans ed un paio di sandali rossi nuovi di zecca. Nonna me li aveva comprati.
Zia non aveva fatto in tempo a farmi la treccia ed è stata anche l’unica volta in cui non siamo riusciti a sostare. Ricordo la pioggia che batteva fortissimo sui vetri, non riuscivo a vedere niente, mi attaccavo al finestrino e chiudevo soltanto un occhio, cercavo spazio fra le gocce che scivolavano velocissime sul vetro, sembravano ruscelli e scorrevano veloci.
A me il rumore della pioggia è sempre piaciuto come l’odore della terra bagnata. Forse da quel giorno. Perchè stavamo andando a Montorio e per la vita in avanti l’ho associato ad un momento di pura felicità o dell’attesa che la precede che, della felicità, forse è la parte migliore.
Da grande, per me quella percezione è diventato un po’ come l’A1 San Vittore-Venafro dopo un anno di lavoro; la strada verso casa mia, sopra la collina, in mezzo ai girasoli. Un momento in cui proprio come quella mattina d’estate, sto bene anche se non riesco a vedere dove sto, ma sento d’essere nel posto giusto.
Buon rientro a casa, montoriesi.
Non perdiamoci mai.
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