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ARTICOLI

L’italiano visto da vicino

Riportiamo di seguito l’articolo a opera dell’autore comparso sull’ultimo numero del Cittadino canadese, settimanale nato nel 1941 a Montreal. [NdR]

Spero, in quest’ultimo pezzo per il Cittadino, di strapparvi un timido sorriso. Per mesi e settimane mi sono chiesto cosa scrivere e, con il senno di poi, ho pensato che sarebbe stato interessante parlare della mia decisione a 17-18 anni di emigrare in Canada.

Adolescenza felice tra studio e sport(calcio inverno-primavera e ciclismo d’estate).Non necessariamente in quest’ordine.

Verso i 17-18 anni,pensando al mio futuro e facendo i calcoli, tra militare e università, sarei arrivato quasi ai 30 anni senza combinare molto.

Dalle mie parti, per l’università, si sceglievano facoltà dove non era obbligatorio frequentare e tutti diventavano avvocati o professori. E anche in Canada, almeno fino al 1965,ero convinto di laurearmi in lettere.

Nel 1951,dopo una riunione di famiglia, mio padre ha deciso, a malincuore, di emigrare a Toronto per permettere anche alla mie sorelle di continuare gli studi.E i suoi sacrifici, tornava ogni 5 anni, sono stati ripagati con le lauree in francese e lettere delle due sorelle.

Io invece che volevo vedere il mondo, ho scelto la strada più facile: emigrare in Canada. Cosa che avvenne nel 1959, dopo aver vinto la resistenza di mio padre.

AGOSTO 1959.COMINCIAMO MALE

Visita a Roma per il visto.Parto alla scoperta di Roma con il mio miglior amico.Dormiamo in un ostello della gioventu’ e abbiamo fatto i turisti 2-3 giorni prima dell’appuntamento al Consolato canadese per il visto.

Visita medica veloce e colloquio con il console,un omone di almeno 1.90 cm. e con il naso rubizzo.

Mi chiede, e mi trova impreparato, perché voglio emigrare in Canada.Rispondo, senza battere ciglio, ‘’per lavorare’’. Il console guarda il documento che aveva in mano e aggiunge:’’Lo sai cosa fanno gli italiani in Canada?Lavorano sulla ferrovia, nell’edilizia o in fabbrica, Lavori molto duri.Tu hai studiato’’.

Non potendo cambiare la mia prima risposta e non avendo altra scelta,continuo a insistere che andavo in Canada per lavorare.

Dopo una ventina di minuti di discussione,spazientino, improvvisamente mi mette il visto e, guardandomi negli occhi, conclude:’’Vuoi andare in Canada per lavorare, ma ti consiglio di andare a scuola’’. E aveva ragione.

SULLA VULCANIA

Forse, su questa nave, ero l’unico emigrante …felice.

La nave molla gli ormeggi verso mezzanotte.Tutti sul ponte per salutare i familiari o amici rimasti sulla banchina.Man mano che la nave si allontanava, sventolio di fazzoletti bianchi,pianti e grida di dolore. E’ come se ci avessero strappato il cuore.

NOVE SETTEMBRE ARRIV0 A PIER 21 AD HALIFAX

Scendo dalla nave e incontro mio padre.Dopo i saluti, il mio sguardo cade su un chiosco nel porto che vendeva banane.Non avevo mai mangiato una banana in Italia e quando, ragazzo, mia madre ci portava al mare a Termoli, non ero mai riuscito a farmi comprare una perché costava cento lire.

Ne compro un grappolo, lo mangio avidamente e per poco non ci lascio la pelle.

HALIFAX-MONTREAL

La destinazione finale era Toronto dove mio padre lavorava per la compagnia ferroviaria CP,ma a Montreal c’era una sorella di mia nonna emigrata nel 1939 che, durante la guerra ci inviava zucchero,caffè e indumenti.A me aveva mandato un pantalone alla zuava che mettevo la domenica e passeggiavo tutto contento per le strade di Montorio.

Mi innamoro della città, ritrovo il cielo azzurro di Napoli, ma la destinazione finale era Toronto.

ARRIVO A TORONTO

Negli anni 50, quando un emigrante raggiungeva i familiari, parenti o amici, dopo una settimana, doveva pagare la pensione se voleva restare e quindi doveva lavorare.Qualsiasi lavoro.

E cosi come primo lavoro faccio il manovale da mio cugino che faceva gli intonaci,ma dopo un mesetto, un altro cugino, mi trova un posto nel deposito della Olivetti, in pieno centro città.Naturalmente scaricavo casse che pesavano 110 libbre.

Un altro problema era che non conoscevo l’inglese che dopo qualche mese era diventato una vera ossessione.

Di giorno lavoravo e la sera seguivo dei corsi su St.Clair dati da un pastore anglicano.

Faccio dei progressi e tramite il parroco della chiesa italiana decidiamo di seguire i corsi dell’undicesimo grado al St. Michael’s College diretto dai gesuiti e l’anno seguente faccio gli esami di maturita (grado 13mo)al Bloor Collegiate.

Ma Montreal, come il primo amore,mi era restata nel cuore e ci andavo spesso nei week-end grazie ai biglietti gratis che la compagnia ferroviaria concedeva a mio padre.

LUGLIO 61 ARRIVO A MONTREAL

Arrivo a Montreal con 10 dollari in tasca e vado ad abitare da mia zia sulla strada Raul,ora si chiama Rousselot, proprio dietro l’ospedale Jean Talon.

Incontro un mio compaesano emigrato anni prima e mi porta al Casa Loma .Pizza e spettacolo con Jean Roger.E rimango con solo qualche dollaro in tasca. Dopo una settimana, dovevo pagare 15 dollari a mia zia per la pensione.Quindi dovevo trovare un lavoro.Qualsiasi lavoro.

Dopo qualche giorno incontro un altro compaesano e mi porta a lavorare in un fabbrica di chiusure lampo,Three Stars, sulla via St. Dominique.Naturalmente a scaricare rotoli di acciaio che pesavano un accidenti.

Nel 62 incontro per strada Angelo Di Lauro,originario di Ripabottoni, il quale mi chiede se giocavo a pallone.

Gli rispondo che ero portiere e mi porta alla Montreal-Italia diretta da Demetrio Pivetta e Bruno Pesut, due dirigenti di Reitman’s. Naturalmente mi fanno assumere nel deposito di questa compagnia e mi mettono nel reparto reggipetti e panciere.

Non sono un esperto di panciere, ma di reggipetti me ne intendo.Se posso darvi un consiglio il seno ideale è il 36 C.

CERCAND0 LA MIA STRADA

Siamo ancora nel 62.La sera andavo all’Università Sir George Williams, ora Concordia, e l’intenzione era sempre quella di diventare professore di lettere.

Nel frattempo sfogliavo le offerte di lavoro sui giornali locali e quelli italiani,ma non succedeva un granchè,anche perché a quei tempi era impossibile assentarsi per qualche ora dal lavoro per fare un colloquio.

A giugno del 1962 il Corriere Italiano cercava un redattore.

Mi chiama il vice direttore Fulvio Callimani e il colloquio salta quasi perché tra lavoro e calcio non trovavo il tempo per incontrarci.

Alla fine troviamo una soluzione e mi assumono.

Redazione composta da tre persone:direttore Pietro Budai, vice direttore Fulvio Callimani e redattore il sottoscritto.

Il 22 dicembre dello stesso anno , su un’idea geniale di

Casimir G. Stanczykowski, nasce CFMB e nel giugno del 1963 Rudy Marcolini mi assume per animare il programma del pomeriggio La Girandola.

E qualche anno dopo mi sono convinto che non sarei mai diventato professore di lettere.

Negli anni 60 la comunità italiana era giovane,dinamica e cercava il suo posto nella vita montrealese.

C’erano tre settimanali con indirizzi politici diversi e grande rivalità per conquistarsi i lettori.

Subito dopo sono passato a il Cittadino ed ho avuto come direttori Gianni Gradoli, giornalista di lungo corso venuto dall’Italia e Italo Cappelli.

Facendo un salto di 40 anni, e siamo giunti al 2005,rientrando in Italia, ho accettato di collaborare solo con questo giornale che nel frattempo era passato da Nick Ciamarra al sen. Basilio Giordano che ringrazio soprattutto per la sua stima e amicizia insieme al dinamico e giovane direttore Vittorio Giordano che,leggendo la sua mente, ogni volta che ci incontravamo in redazione, mi vedeva come un monumento vivente.

Ringrazio anche i lettori del nostro giornale e vi faccio un’ultima confessione:sono in debito con voi e con la comunità italiana di Montreal,sono commosso e sicuramente non vi dimentichero’ mai.E anche se, dalla settimana prossima, ogni lunedi per due ore non saro’ piu’davanti al mio computer,il mio pensiero volera’ spesso a Montreal.

Mille grazie, Buone Feste e sono sicuro che ci incontreremo di nuovo sulla via Papineau o Jean Talon.

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Montorio nei Frentani (CB) - Italia

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