È dicembre. È quasi Natale.
Le case si riempiono di addobbi, colori, luci e profumi. Apparentemente, tutti sono più felici.
Spesso, quando arriva questo periodo, mi chiedo se lo siamo per i momenti che stiamo per vivere o per quelli che abbiamo vissuto.
Nel mio caso, credo sia decisamente la seconda, soprattutto quest’anno.
La felicità del Natale è per me legata a quello che potremmo chiamare “lo Spirito del Natale passato”.
Un po’ come accadeva a giugno, anche le vacanze di Natale per me e mia sorella erano sinonimo di Montorio.
L’operazione Natale cominciava la mattina della Vigilia quando nonno Nardino arrivava in sella alla sua Fiat 127 bianca che odorava sempre di campagna, per la precisione di muschio. Camilla e io venivamo svegliate ben presto e imbacuccate nei nostri piumini, zainetto in spalla e si “partiva” alla volta di Montorio. I bambini hanno una strana percezione del tempo, perché nonostante i dodici chilometri, a me quel viaggio è sempre sembrato lunghissimo (sarà forse che nonno si fermava sempre a guardare la campagna).
Una volta arrivate a Montorio, venivamo accolte in casa da un mix di profumi e dal vapore che inondava tutta la cucina in cui mia nonna era attiva dalle luci dell’alba.
Qui ci aspettava una colazione particolare: screppelle che nonna preparava la mattina stessa. Al solo pensiero, mi sembra quasi di sentirne ancora il sapore in bocca.
Spiccavano in quell’atmosfera le luci del presepe che nonno preparava sempre intorno al sette di dicembre. Era sempre semplice, ma così ben fatto che per anni ho immaginato che Betlemme fosse davvero così.
Solitamente, dopo colazione, nonno usciva e portava con sé l’inseparabile Camilla, mentre io rimanevo con nonna. Solitamente, mi portava con sé da Lucietta, che chi è di Montorio sicuramente ricorderà. Ero sempre contenta di andare con nonna dalle sue amiche, perché ognuna di loro era di una generosità disarmante, generosità che alcune hanno ancora oggi nei nostri confronti.
Ma tornando alla Vigilia, da Lucietta non mancavano mai caramelle e cioccolate “americane”, ma non era questo il motivo della nostra visita. Lì andavamo perché nonna e Lucietta preparavano le anguille. Non era un bello spettacolo, sicuramente non adatto a una bambina, ma io ero troppo curiosa per poter rimanere buona in un angolino. Ed è colpa della mia curiosità se, alla fine, non ne ho mai voluta assaggiare nemmeno una.
Dopo quella tappa, si rientrava a casa dove ci aspettava il pranzo che, sempre per gli standard di nonna Lucia, era leggero in vista della cena con i miei genitori.
Per quanto riguarda il pomeriggio della Vigilia di Natale, ho un ricordo molto potente che però non saprei collocare negli anni. Quel giorno, avevamo letteralmente “tolto l’anima” a nonno Nardino perché volevamo un albero di Natale; altrimenti come avrebbe fatto Babbo Natale a lasciarci i regali? Non eravamo a casa, quindi dovevamo fargli capire in qualche modo che era lì che andavano lasciati i pacchetti, anche se puntualmente il vecchio Babbo si divertiva ogni anno a lasciarli in punti diversi della casa. Quell’anno, dopo un po’, nonno tirò fuori l’albero e le decorazioni anni ’90 e ci aiutò ad addobbare l’albero. Per noi, era il più bello in assoluto, perché lo avevamo fatto insieme e perché lui aveva fatto, ancora una volta e come sempre, qualcosa per farci felici. Sarà per questo che dopo la sua morte non abbiamo più fatto nessun albero nemmeno a casa per ben dieci anni. Chiudendo gli occhi, mi sembra di vedere ancora quelle luci illuminare i nostri volti.
E le luci erano ovunque anche in paese: Montorio per me è sempre stato un piccolo presepe vivente. C’era tutto quello che doveva esserci, c’era davvero lo spirito del Natale. E non parlo solo delle luminarie per il paese, dei presepi seminascosti in diversi angoli tra vicoli, porticati e portoni. Parlo dell’aria che si respirava, della generosità delle persone, dell’affetto sincero che passava dalle strette di mano, dagli occhi emozionati alla messa della notte di Natale…
Messa a cui partecipavamo anche tutti noi bambini. C’era poi la messa della mattina, a cui solitamente venivamo spedite insieme a nonno, mentre nonna e mamma erano impegnate a preparare il pranzo natalizio. Non siamo mai stati tanti in famiglia e a Natale raggiungevamo a stento le dieci persone quando partecipavano anche gli altri miei nonni, ma per noi bambine era comunque una festa.
C’era il calore della famiglia e questo è ciò che contava e conta ancora oggi, a maggior ragione a Natale.
Tutto, dentro e fuori casa, era magico.
Se potessi esprimere un solo desiderio per quest’anno, sarebbe quello di poter rivivere anche solo per un po’ lo spirito del Natale passato; potrei accontentarmi anche di un vecchio filmino che possa mostrarmi la me bambina, mia sorella con i boccoli come una bambola, nonna Lucia in cucina nascosta dal vapore, l’albero anni ’90 di mio nonno, Lucietta e le anguille, le passeggiate tra le luminarie per scovare i presepi, le tombolate con grandi e piccini, l’odore dei (tanti) camini accesi, il profumo delle cucine, quel senso di leggerezza e felicità, l’amore da cui eravamo circondate…
La magia del Natale per noi si è frantumata il 23 dicembre 2010, quando nonno Nardino è andato via. Nulla è stato più come prima, nonostante avessimo mantenuto le nostre tradizioni. La Vigilia di Natale trascorsa tra sole donne a preparare la cena non era la stessa cosa. E il Natale a casa nostra si trascinava sempre dietro una strana malinconia tangibile nei modi di mia nonna.
Mi domando, ora, come sarà quest’anno che nemmeno lei c’è più. Porteremo comunque avanti le nostre tradizioni, seppur con tempi e in luoghi diversi? Saremo all’altezza di vivere il vero spirito del Natale come ci hanno insegnato? Non so dare delle risposte.
L’unica cosa che so è che il cuore ricorderà sempre “lo spirito del Natale passato”.
È pur sempre dicembre. È pur sempre Natale.
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