Avendo vissuto tutta la mia vita in questa città di La Plata dove sono nato, non ho nei miei ricordi racconti e aneddoti legati a Montorio, come tanti che altri compaesani pubblicano frequentemente su Il Ponte.
Il mio legame con il Paese è nato quando ero già adulto, quasi 40 anni, iniziando l’avventura di esplorare le mie radici e conoscere i luoghi dove sono nati i miei bisnonni e da dove erano emigrati in Argentina.
A peggiorare le cose, mio nonno paterno si ammalò di Alzheimer quando ero un bambino, per cui non ho potuto avere con lui le conversazioni sulla sua storia che ho avuto con altri membri della mia famiglia.
La mia prima visita a Montorio, poi, è avvenuta solo nel 2008, quando avevo già 43 anni.
Ho avuto la fortuna di poter visitare alcuni dei luoghi natali dei miei bisnonni: Montorio nei Frentani, San Giuliano di Puglia, Noepoli e Milano in Italia, Castetnau-Camblong in Francia. Ne ho ancora altri in Italia e Spagna.
Ma, lontano dalle colline frentani, ho avuto anche un paradiso infantile molto particolare, e non passa un solo giorno della mia vita che non lo ricordi con gioia piena di immagini e momenti belli.
Mio padre era direttore di una scuola in cui vivevano giovani adolescenti che, per diversi motivi, non erano con le loro famiglie ed erano tutelati dallo Stato. Lì ricevettero un’istruzione musicale e, come opportunità di lavoro, si univano alle bande musicali delle Forze Armate.
A quel tempo era normale che il Direttore e la sua famiglia vivessero lì, avendo la loro casa nella scuola stessa, ed in quel posto sono nato nel dicembre del 1964.
E ho vissuto lì per i primi 13 anni della mia vita.
Immaginate dalla visione di un bambino, di vivere in periferia, su una proprietà di 4 ettari, accanto ad un altro grande spazio di altri 8 ettari, questi disabitati e in campagna, con le mucche al pascolo.
La nostra scuola aveva un campo da calcio di dimensioni professionali, con porte con reti. Un campo di pallacanestro. Una grande piscina circolare. Un vecchio mulino a vento su cui si poteva arrampicarsi. Tre vecchi tram dismessi che venivano usati come aule. Uno spazio enorme pieno di alberi dove potevo girovagare a mio piacimento, in tempi in cui non esistevano situazioni di insicurezza che limitassero la mia libertà.
Il patio aveva un enorme pennone dove ogni giorno veniva issata la bandiera. Ancora più grande di quello della mia scuola.
Vi abitavano allora una trentina di giovani tra i 14 e i 18 anni, con i quali ho condiviso molte attività, con molti dei quali mantengo attualmente contatti personali o tramite rete sociali.
E poi tutte le persone che ci lavoravano: insegnanti, professori di musica, amministratori, cuochi…
Ogni pomeriggio, all’ora della siesta, il luogo si riempiva del suono degli strumenti musicali con cui gli studenti studiavano e provavano. E in certe occasioni suonava l’intera banda.
La mia casa era quindi meravigliosamente diversa da quella di tutti gli altri bambini e ragazzi che vivevano in case o appartamenti, che al massimo avevano una casa per il fine settimana in periferia.
Vivevo ogni giorno in quel paradiso dell’infanzia.
Per alcuni anni il campo venne affittato da una società di calcio della Lega dilettantistica regionale. I giochi erano a casa mia! Li vedevo la domenica, entravo nello spogliatoio con i giocatori, tutti nello stesso campo dove giocavo tutti i giorni.
Nella proprietá della scuola trovavo piccoli animali (serpenti, aragoste, ragni, anguille, lucertole…) che i miei amici di città non immaginavano nemmeno di conoscere, e qualche volta ho spaventato una insegnante portando uno dei miei “esemplari esotici” a scuola, per qualche classe di scienze naturali.
Il mio spazio era immenso, infinito, pieno di luoghi imbattibili per le più svariate avventure dell’infanzia.
Ricordo con profondo amore e una certa nostalgia quegli anni meravigliosi nel mio incomparabile paradiso. Un giorno del 1978 il governo decise di trasferire la scuola in un’altra proprietà senza alloggi per il direttore, e all’età di 13 anni e con profondo dolore ho dovuto andare a vivere in una casa “normale”.
Mi ci sono voluti molti anni per osare tornare in quel luogo che era già in rovina. E qualche anno fa la zona è stata urbanizzata, le macchine hanno aperto le strade, e oggi c’è un quartiere urbano “sopra” il mio vecchio paradiso.
Ma ancora oggi la chiamo “casa mia”.
Molte volte ho avuto dei sogni che si svolgono in quel luogo della mia infanzia: immancabilmente sono in belle giornate soleggiate.
E anche 45 anni dopo, posso chiudere gli occhi e visualizzare nel dettaglio ogni angolo, ogni luogo, e “girare” con la fantasia nella casa della mia infanzia.
Conservo come tesoro vari oggetti che erano in quella casa, e le poche fotografie che furono scattate del luogo in quel periodo.
Di solito non ho nostalgia del passato. Ho vissuto ogni fase della mia vita a modo mio e, in generale, il mio momento migliore è il presente e la mia visione del futuro. Senza pensare di tornare indietro. Tuttavia, sarei felice di tornare – almeno per un po’ – per rivivere il mio paradiso infantile in un’altra giornata di sole.
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